UE. Tre passi avanti meno due passi indietro, fa un passo avanti. Ma non basta

Il diavolo è nei dettagli, probabilmente…

Secondo i più, l’Eurogruppo finanziario, riunito in teleconferenza il 9 aprile 2020 avrebbe trovato un compromesso da proporre poi al prossimo vertice dei Capi di Stato e di Governo dell’UE.

Il Presidente Centeno così aveva esordito: «Il virus è cieco, non guarda bandiere, colore, sesso o classe sociale. Non ci sono passeggeri di prima classe. O affondiamo o nuotiamo assieme».

Ma qual è esattamente il piano, per quello che al momento è dato saperne?

Vi è stata un’opera di mediazione dei ministri delle finanze francese Bruno Le Maire e tedesco, Olaf Scholz, per trovare un punto d’incontro fra le opposte posizioni olandese e italiana. Per Le Maire si tratta di un «ottimo accordo», dato che mette a disposizione «500 miliardi disponibili immediatamente» e per il futuro un «piano di ripresa da 500 miliardi», su cui «resta da dibattere le condizioni» di finanziamento.

Il collega italiano Roberto Gualtieri ha fatto una dichiarazione che a nostro avviso anticipa dei futuribili tutt’altro che scontati. Gualtieri infatti dà per scontato che siano ormai stati «messi sul tavolo i bond europei» e «tolte le condizionalità del Meccanismo europeo di stabilità (Mes)».

La cancelliera tedesca Angela Merkel, com’è noto, è rimasta invece ancorata al suo rifiuto degli eurobond. Dopo una videochiamata con il Premier Conte aveva detto: «Non credo che dovremmo avere debito comune a causa della situazione della nostra unione politica ed è per questo che lo respingiamo. Ma ci sono molti modi per dimostrare solidarietà e credo che troveremo una buona soluzione».

La soluzione trovata sembra dunque essere la seguente:

1) Prestiti per 240 miliardi di euro dal MES ai ventisette Paesi dell’UE; non senza restrizioni e non a scadenza di 30-50 anni. Il limite dei prestiti MES rimase ancorato al al 2% del PIL (ossia circa 36 miliardi per l’Italia). E’ passata dunque la proposta di Olanda e Germania

2) Prestiti per 200 miliardi di euro dalla BEI per le imprese. E’ passata dunque la proposta di Olanda e Germania.

3) Prestiti per 100 miliardi di euro dal progetto SURE anti-disoccupazione. E’ passata dunque la proposta della Presidente della Commissione von der Leyen.

4) Fondo europeo d’investimenti per la ripresa per un tetto di 1000 miliardi, da negoziare in un arco temporale ancora da definire (ma che Scholz ha già fatto inserire nel prossimo bilancio Ue 2021-2027). E’ passata dunque, ma come un work in progress dai tempi indefiniti, la proposta Gualtieri-Calvino-Le Maire.

5) Delega al Consiglio dei Capi di Governo del negoziato su Recovery bond a 15-20 anni. E’, questa, un’appendice del punto precedente.

Soddisfazione per l’accordo raggiunto è stata espressa dal Presidente dell’Europarlamento David Sassoli: «Abbiamo avuto ragione ad avere fiducia nell’Europa. Le proposte formulate dell’eurogruppo vanno nella giusta direzione».

Il punto è ora che il negoziato sugli eurobond e sui criteri di immissione viene delegato al prossimo vertice dei capi di Stato e di Governo dell’UE. E non è detto che, in quella sede, l’Italia ritrovi in materia l’unità d’intenti specialmente con la Francia. Ecco perché l’ottimismo di Gualtieri sembra eccessivo. Fra l’altro, passando del tempo, la proposta italiana rischia definitivamente d’incagliarsi con effetti sulla tenuta della compagine governativa, che sarà disturbata da un’opposizione sempre più rumorosa e pronta a usare l’argomento-clava dell’Italia al solito prona ai voleri di Bruxelles.

Nessuno poi ha ancora spiegato quali meccanismi del MES sarebbero stati rimossi per renderlo più agile e adatto a una crisi simmetrica come l’attuale. Ecco perché la posizione italiana è messa a rischio da un eccessivo ottimismo, certamente utile a fini politici ma assai rischioso se mancano i dettagli tecnici.

Il diavolo, infatti, si nasconde nei dettagli. Gli eurobond o “coronabond” devono essere collocati sul mercato solo dopo un accordo di riacquisto di questi titoli da parte della BCE. Da qui la proposta lanciata dal ministro delle finanze spagnolo Nadia Calviño (capace ex tecnico della Commissione UE) di «meccanismi innovativi di finanziamento» che dovrebbero in ultima analisi rappresentare il “piano Marshall” europeo. Proposta complementare, questa, non alternativa all’accordo raggiunto dall’Eurogruppo.

«Le altre iniziative concordate ieri – spiega Federico Fubini sul Corriere del 10 aprile 2020 (p. 8) – per quanto utili, hanno tempi o modalità incerte e un impatto frazionale, in proporzione alla perdita di reddito per oltre mille miliardi di euro che si prospetta nell’area euro quest’anno. Sure, il meccanismo da cento miliardi di euro di supporto ai disoccupati proposta dalla Commissione, non ha ancora una data di innesco perché devono ratificarlo i parlamenti dei 27 Stati dell’unione europea. Le linee di credito del fondo salvataggi (Mes) potranno essere attivate senza condizioni solo se riguardano “costi diretti e indiretti di spesa sanitaria, cura e prevenzione”, non la ricostruzione economica (Italia e Spagna hanno comunque già escluso di voler chiedere quei prestiti)».

Servono dunque ancora almeno altri 500 miliardi di fondi pubblici per la ricostruzione nell’eurozona, e possono essere trovati solo ricorrendo agli eurobond, ossia tornando all’iniziale proposta italo-francese.

«La partita vitale per la tenuta della società italiana in questa crisi si gioca lì ed è lì che l’esperienza di direttrice del Bilancio Ue l’altra sera è venuta in aiuto a Nadia Calviño. Perché il tempo stringe e il diavolo è nei dettagli. La «proposta» sul tavolo di cui parla la ministra spagnola è di legare quel piano di rilancio finanziato da emissioni di nuovo debito europeo al «Quadro finanziario pluriannuale», cioè al bilancio dell’Unione. Ma quella strada rischia di restringersi nei prossimi mesi — avverte Calviño — a causa delle solite obiezioni di Germania e Olanda».

Le obiezioni le conosciamo. Fra l’altro non ci saremmo con i tempi, dato che iscrivere queste nuove emissioni di titoli nel bilancio europeo (che tecnicamente si chiama “Quadro finanziario”) significa attendere perlomeno un anno per ottenere altri soldi, dato che l’attuale bilancio europeo è fissato per gli anni 2021-2027, mentre le risorse servono subito; e ne servono tante.

Che cosa hanno deciso dunque in proposito all’Eurogruppo? Semplicemente che il nuovo fondo dovrà essere «commisurato ai costi straordinari della crisi attuale», e che quindi andrà modulato raccogliendo denaro fra gli investitori attraverso titoli di debito congiunto europeo (che la BCE potrà poi riacquistare sul mercato). Ma non bisogna perder tempo.  Questi titoli vanno collocati al massimo all’inizio dell’estate prossima, perché dopo potrebbe essere troppo tardi, dato che le imprese in tutta Europa sono ormai prossime al fallimento.

«Si tratta dunque di trovare almeno una soluzione-ponte prima del 2021 – scrive Fubini – attraverso due canali suggeriti ieri dal Consiglio degli esperti economici franco-tedeschi: tramite emissioni della Banca europea degli investimenti oppure del fondo salvataggi Mes. Quelle due istituzioni operano già sui mercati in modo congiunto, ma suddividendo la responsabilità ultima del loro debito pro quota sui singoli Stati».

La soluzione-ponte potrebbe funzionare nell’attesa di un meccanismo d’indebitamento europeo più stabile, che solo un vertice fra capi di Stato e di Governo dell’UE potrebbe varare. Ma, com’è immaginabile, gli ostacoli sono tanti. Ecco perché non ci sentiamo di condividere l’eccessivo ottimismo di Gualtieri, secondo cui gli eurobonds sono ormai sul tavolo negoziale europeo. E non ci sentiamo neppure di condividere l’ottimismo di Sassoli, per il quale «le proposte formulate dell’eurogruppo vanno nella giusta direzione».

Sarà pure giusta la direzione imboccata dall’Eurogruppo. Il punto è vedere se è ben lastricata la strada verso quella direzione. Abbiamo infatti l’impressione che lo scontro finale sia solo rinviato; e non è detto che l’Italia abbia al suo fianco quegli stessi partner che fino a ieri ne sostenevano le ragioni. Per giunta, i rischi che corre la stessa eurozona sono concreti; e con essi i rischi di sopravvivenza dell’Euro.

Certamente, tre passi avanti meno due indietro fa pur sempre un passo avanti. Ma il diavolo si annida nei dettagli. Probabilmente.

Published by

matteoluiginapolitano

Professor of Diplomatic History Università degli Studi del Molise Campobasso Italy

Leave a comment